IL CONSIGLIO DI STATO 
               in sede giurisdizionale (Sezione Terza) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 3530 del 2020, proposto da Aurelia'80 S.p.a., Villa
Von Siebenthal S.r.l. e Casa di Cura Citta'  di  Roma  Gestita  Dalla
Soc.Citta'  di  Roma  S.p.a.,  in  persona  dei   rispettivi   legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati e  difesi  dall'avv.  Fabio
Elefante, con domicilio digitale come da PEC indicata in atti; contro
Regione Lazio, in persona del Presideme pro tempore, rappresentata  e
difesa dall'avv. Elena Prezioso, con domicilio digitale come  da  PEC
indicata in atti e domicilio fisico  presso  l'ufficio  legale  della
Regione, in Roma, via M. Colonna n. 27; 
    Commissario ad acta Sanita' per la Regione Lazio e Presidenza del
Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del  consiglio  dei
Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocatura generale
dello Stato, domiciliataria ex-lege in Roma, via  dei  Portoghesi  n.
12; nei confronti Policlinico Umberto I non costituito in giudizio; 
    per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio (Sezione Terza)  n.  3514/2020,  resa  tra  le
parti, concernente la Circolare della Regione Lazio  del  1°  ottobre
2019, recante  «Disposizioni  relative  alla  progressiva  attuazione
dell'art. 9, comma 1, legge regionale Lazio n. 13/2019»; 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visti gli articoli 25 del  decreto-legge  n.  137/2020  e  4  del
decreto-legge n. 28/2020, convertito con modificazioni dalla legge n.
70/2020, quanto  allo  svolgimento  con  modalita'  telematica  delle
udienze pubbliche e delle camere di consiglio del Consiglio di  Stato
nel periodo 9 novembre 2020 - 31 gennaio 2021; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio della  Regione  Lazio,
del commissario  ad  acta  Sanita'  per  la  Regione  Lazio  e  della
Presidenza del Consiglio dei ministri; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica con modalita' da remoto del giorno
28 gennaio 2021 il Cons. Solveig Cogliani e  dati  per  presenti  gli
avvocati  delle  parti,  come  da  dichiarazione  di   passaggio   in
decisione; 
    I -  La  presente  controversia  riguarda   i   nuovi   requisiti
organizzativi previsti per le strutture sanitarie private accreditate
col Servizio sanitario  regionale  con  riferimento  ai  rapporti  di
lavoro, dalla circolare avente ad oggetto «Disposizioni relative alla
progressiva attuazione dell'art. 9, comma 1, della legge 28  dicembre
2018, n. 13» in attuazione della  indicata  disposizione  legislativa
regionale. 
    II - Deve premettersi che la prescrizione da parte della  Regione
Lazio ai soggetti privati accreditati con il SSR di  assumere  figure
professionali  sanitarie  a  vario  titolo   (e   misura)   coinvolti
nell'erogazione delle prestazioni a carico del SSR  stesso,  avvenuta
con i decreti del commissario ad acta n. 376/2016 e n. 422/2017 aveva
gia' formato oggetto di contenzioso. 
    Il decreto del commissario ad  Acta  11  novembre  2016,  n.  376
prevedeva quale ulteriore requisito di qualificazione  necessario  ai
sensi dell'art. 13, comma 2, lettera b) della legge  reg.  n.  4/2003
per il rilascio  dell'accreditamento  alle  strutture  sociosanitarie
residenziali sia assistenziali sia  riabilitative  che  il  personale
avente   qualifica   di    infermiere,    educatore    professionale,
fisioterapista, tecnico sanitario e operatore sociosanitario o figura
equivalente o  dedicata  ai  servizi  alla  persona  avesse,  con  il
soggetto gestore della struttura, un rapporto di lavoro di dipendenza
regolato dal Contratto collettivo nazionale del  lavoro  sottoscritta
dalle associazioni sindacali dei datori di lavoro  e  dei  lavoratori
comparativamente piu' rappresentative nel settore sanitario. 
    Anche allo scopo di individuare criteri e modalita' uniformi  per
l'applicazione della disciplina anche alle strutture ospedaliere,  il
decreto del commissario ad Acta n. 422 del  5  ottobre  2017  n.  422
differiva  al  1°  ottobre  2017  il  termine  di  attuazione   delle
disposizioni di cui al d.C.A. n. 376/2016, individuando le  categorie
di  persone  interessate   al   personale   dedicato   all'assistenza
infermieristica, al personale tecnico sanitario, al  personale  della
riabilitazione, all'operatore sociosanitario (O.S.S.) e all'operatore
tecnico dell'assistenza (O.T.A.) e fissando la percentuale minima non
inferiore all'80% dell'organico in carico al tempo, purche'  comunque
rispondente ai requisiti minimi autorizzativi  e  agli  ulteriori  di
accreditamento richiesti, con facolta' di  utilizzo  di  altre  forme
contrattuali consentite dall'ordinamento  italiano  per  la  restante
parte (20%). 
    Invece, le strutture private gia' autorizzate e accreditate,  non
ancora in regola con le vigenti disposizioni alla data di entrata  in
vigore   del   provvedimento,   avrebbero   dovuto   adeguarsi   alle
disposizioni entro una diversa tempistica. 
    Quel giudizio si concludeva con la sentenza del  T.A.R.  Lazio  -
Roma, n. 7094118, che giudicava illegittimi i provvedimenti  adottati
in questo senso dalla Regione. Tale sentenza era altresi'  confermata
da questa Sezione, con pronuncia, n. 3303/19. In quella sede,  questo
Consiglio, con riferimento alla legge regionale  emanata  nelle  more
del  giudizio,  rilevata  la  non  applicabilita'   retroattiva,   ne
evidenziava l'irrilevanza per la causa allora pendente. 
    Nel merito, la sentenza n.  3303/19  riteneva  non  rilevante  la
questione  di  costituzionalita'  sin  da  allora  proposta,  poiche'
escludeva l'effetto retroattivo della disposizione reginale,  sicche'
non costituiva fonte idonea a legittimare gli atti allora impugnati. 
    Inoltre, la sezione stabiliva che «Ai sensi  dell'art.  8-sexies,
del decreto legislativo 502/1992, comma  5,  le  tariffe  massime  da
corrispondere alle strutture accreditate sono determinate «in base ai
costi standard  di  produzione  costi  standard  di  costi  generali,
calcolati su un campione rappresentativo  di  strutture  accreditate,
preventivamente   selezionate   secondo   criteri   di    efficienza,
appropriatezza e qualita' di assistenza». 
    Il Consiglio di Stato  poi  chiariva  che  1.'  intervento  della
Regione sui costi del personale della struttura  accreditata  «sconta
una inversione del nesso eziologico.  Come  gia'  sottolineato  dalla
sezione (nelle sentenze sopra citate),  «cio'  darebbe  luogo  ad  un
rapporto capovolto in cui la rilevazione dei costi medi  dei  fattori
produttivi (parametro utile per la determinazione della remunerazione
massima) genera, nel silenzio della  legge,  l'obbligo  di  tutte  le
strutture di conformarsi pro-futuro alla rilevazione medesima. 
    Viceversa,  sono  le  tariffe  che  devono  riflettere  la  reale
struttura dei costi medi  dei  fattori  di  produzione  del  servizio
garantendo  un'adeguata  remunerazione,  e  quindi  non  e'  corretto
intervenire sui costi di produzione, imponendo  oneri  estranei  alle
scelte   organizzative   degli   operatori,   per   giustificare   il
mantenimento delle tariffe esistenti. 
    Se la possibilita' di organizzare il servizio mediante l'utilizzo
di un numero prevalente di rapporti  di  collaborazione,  o  comunque
diversi dal lavoro subordinato, determina,  attraverso  la  riduzione
dei costi, un'eccedenza delle tariffe vigenti  (in  quanto  elaborate
sulla base dei che  riguardano  i  rapporti  di  lavoro  subordinato)
rispetto a quelle che risulterebbero giustificate, e' sulle modalita'
di rilevazione dei costi, ai fini della determinazione delle  tariffe
e  della  loro  entita',  che  occorre  intervenire  -  eventualmente
prevedendo un sistema piu' articolato e differenziato che tenga conto
delle  diverse  opportunita'  organizzative   disponibili   per   gli
operatori,  nonche',  in  ipotesi,  delle  modalita'  di  svolgimento
(residenziale, semiresidenziale, domiciliare) della prestazione - non
gia' sui costi reali che l'imprenditore sostiene,  secondo  i  propri
criteri di efficienza per  organizzare  e  gestire  concretamente  le
proprie risorse lavorative (nel rispetto, ovviamente  degli  standard
numerici e qua litativi imposti, in applicazione dell'art.  8-quater,
comma 4, del decreto legislativo n. 502/1992)». 
    Aggiungeva  che   «Peraltro,   la   correlazione   tra   rapporto
subordinato  (che,  peraltro,   potrebbe   anche   essere   a   tempo
determinato) e qualita' della prestazione sociosanitaria e'  un  dato
non dimostrato e certamente opinabile». 
    Ed,  inoltre,  chiariva  che  il  principio   della   continuita'
terapeutica non puo' tradursi, nemmeno nel  pubblico,  nella  pretesa
dei  paziente  di   avere   a   disposizione   sempre   il   medesimo
professionista. 
    III - Di seguito, il  legislatore  regionale  ha  inserito  nella
Legge di stabilita' regionale 28 dicembre 2018, n. 13,  1'  art.  9 -
recante  «Disposizioni   di   salvaguardia   dell'occupazione   nelle
strutture  che  erogano  attivita'   sanitarie   e   socio-sanitarie.
Definizione agevolata in  materia  di  controlli  esterni  in  ambito
sanitario» che recita testualmente: «1. A tutela della qualita' delle
prestazioni erogate e del corretto rapporto tra costo  del  lavoro  e
quantificazione delle tariffe, il  personale  sanitario  dedicato  ai
servizi  alla  persona,  necessario   a   soddisfare   gli   standard
organizzativi, dovra' avere con la struttura un rapporto di lavoro di
dipendenza regolato dal  Contratto  collettivo  nazionale  di  lavoro
(CCNL) sottoscritto dalle associazioni  maggiormente  rappresentative
nel settore sanitario». 
    A seguito di tale disposizione,  la  Regione  Lazio  -  Direzione
salute e integrazione socio sanitaria area coordinamento  contenzioso
- Affari legali e  generali  (Registro  Ufficiale  U00775071  del  1°
ottobre 2019) ha adottato, e  comunicato  a  mezzo  PEC  in  data  1°
ottobre 2019 alle appellanti, la Circolare sopra specificata, oggetto
di gravame, che cosi' prevede: «Disposizioni di attuazione» 
    1. Campo di applicazione. 
      1.1  La  presente   circolare,   allo   scopo   di   consentire
l'attuazione progressiva di quanto stabilito dall'art.  9,  comma  1,
legge regionale n. 13/2018, disciplina: 
        a) i  requisiti  organizzativi  ulteriori  che  le  strutture
sanitarie private accreditate col Servizio sanitario regionale devono
possedere se contrattualizzate ai  sensi  dell'art.  8-quinquies  del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502; 
        b) i casi di esclusione o rinvio; 
        e) le modalita' e i termini di adeguamento; 
    2. Rapporto di lavoro del personale sanitario dedito  ai  servizi
alla persona. 
      2.1 Le strutture sanitarie e/o sociosanitarie, di cui  all'art.
4, comma 1, della legge regionale n. 3 marzo 2003, n. 4, ad eccezione
di  quelle  escluse  ai  sensi   del   punto   2.4,   accreditate   e
contrattualizzate  (ex  art.  8-quinquies  decreto   legislativo   n.
502/1992) con il Servizio sanitario regionale che, in conformita'  ai
requisiti organizzativi previsti dal provvedimento di cui all'art. 5,
comma  1,  lettera  a)  della  stessa  legge,  esercitano   attivita'
sanitaria avvalendosi di personale sanitario dedicato ai servizi alla
persona, sono  tenute  a  stipulare  nei  termini  di  cui  al  comma
successivo,  un  contratto  di  lavoro  di  dipendenza  regolato  dal
Contratto  collettivo  nazionale  del   lavoro   sottoscritto   dalle
associazioni maggiormente rappresentative  nel  settore  sanitario  o
comunque a garantire condizioni economiche e giuridiche di grado  non
inferiore. 
      2.2 In sede di prima applicazione dell'art. 9,  comma  1  della
legge regionale n.  13/2018,  strutture  sanitarie  e  sociosanitarie
assumono il personale di cui al comma 1 a decorrere dal  1°  dicembre
2019, in misura non inferiore  all'80%  dell'organico  necessario  ad
assicurare il rispetto dei requisiti di  cui  all'art.  5,  comma  1,
lettera a) della stessa legge n. 4/2003, con facolta' di utilizzo  di
altre forme contrattuali consentite dall'ordinamento per la  restante
parte. 
      2.3   La   percentuale   di   flessibilita'    dovra'    essere
ragionevolmente distribuita tra  le  figure  professionali  richieste
dalla normativa ai fini dell'erogazione del servizio. 
      2.4 Le disposizioni di cui ai  precedenti  commi,  in  sede  di
prima attuazione, non si applicano  all'attivita'  sanitaria  erogata
sotto forma di assistenza domiciliare, alle strutture termali e  alle
strutture che  erogano  esclusivamente  assistenza  specialistica  in
regime ambulatoriale (paragrafi 3, 5, 6 e 7 dell'allegato  C  al  DCA
8/2011 e s.m.i.), la cui disciplina viene demandata  all'adozione  di
specifici atti. 
      2.5 Allo scopo di monitorare  l'attuazione  delle  disposizioni
normative e convenire su modalita' e tempistica utili alla definitiva
e completa applicazione dell'art. 9 della legge  n.  13/2018,  presso
l'Assessorato alla Salute della Regione Lazio e' istituito un  tavolo
tecnico, cui  partecipano  le  OO.SS.  gia'  firmatarie  dell'accordo
regionale  e  le  associazioni  datoriali,  per  il  tramite  di   un
rappresentante  indicato  con  apposita  comunicazione  da  inoltrare
all'indirizzo di posta elettronica: salute@regione.lazio.legalmail.it
entro il 15 ottobre 2019. 
    3. Entrata in vigore e disposizioni transitorie. 
      3.1 La presente circolare entra in vigore il giorno  successivo
a quello della  sua  pubblicazione  sul  Bollettino  Ufficiale  della
Regione Lazio. 
      3.2  Le  strutture  private  gia'  autorizzate,  accreditate  e
contrattualizzate  con  il  SSR,  non  in  regola  con  le   presenti
disposizioni, sono tenute ad adeguarsi entro  il  30  novembre  2019,
prediligendo la stabilizzazione del personale gia' operante. 
      3.3 Le Aziende  sanitarie  locali  competenti  sono  tenute  al
controllo e alle verifiche periodiche  del  rispetto  della  norma  e
delle presenti  disposizioni,  anche  avvalendosi  dei  dati  che  le
strutture sanitarie sono tenute a comunicare a SICO.» 
    Gia' prima delle richiamate legge regionale e circolare era stato
sottoscritto in data 21 marzo 2016 il protocollo d'Intesa  tra  AIOP-
ARIS CGIL -  CISL -  UIL  Regionali  Lazio -  Regione  Lazio  che  ha
previsto al punto 7), rubricato «Regolamentazione del Lavoro», quanto
segue: «A tutela della  qualita'  delle  prestazioni  erogate  e  del
corretto rapporto  tra  costo  del  lavoro  e  quantificazione  delle
tariffe, le parti concordano che il personale del comparto necessario
a soddisfare gli standard organizzativi  dell'area  residenziale  (vd
DCA 99 del 2012) assistenziale e riabilitativa, avente qualifica  di:
infermiere,   educatore   professionale,   fisioterapista,    tecnico
sanitario  e  operatore  socio  sanitario  o  figura  equivalente,  o
comunque dedicata ai  servizi  alla  persona,  dovra'  avere  con  la
struttura un rapporto di lavoro di dipendenza regolato dal  Contratto
collettivio  nazionale  del  lavoro sottoscritto  dalle  associazioni
datoriali maggiormente  rappresentative  nel  settore  sanitario.  La
modifica dei requisiti organizzativi sara' recepita integrando i  DCA
di riferimento». Con successiva memoria di Giunta del 4  maggio  2016
avente ad oggetto le  «Linee  di  indirizzo  relative  al  protocollo
d'intesa sulle residenze sanitarie assistenziali', oltre  a  prendere
atto, tra l'altro, del protocollo di intesa, veniva riconosciuto alle
RSA un ruolo centrale all'interno della rete di servizi sociosanitari
del territorio, per essere una risposta residenziale ad  anziani  non
autosufficienti, necessitanti di una alta intensita'  di  protezione,
assicurando elevate esigenze di cura e  provvedendo  a  formulare  le
opportune  linee  di  indirizzo  nel  senso  meglio   riportato   nel
protocollo. 
    IV - La sentenza appellata,  dopo  aver  riportato  il  passaggio
della decisione richiamata  in  cui  viene  affermato  che:  «A  tale
esigenza sembra aver fatto fronte il legislatore regionale  solo  con
il recente art. 9 delle legge n.  13/2018,  tuttavia,  come  esposto,
inapplicabile catione temporis alla controversia» (cfr.,  ex  multis,
Cons. Stato, sez. III, 27 settembre 2019, n. 64 74; ibidem, 22 maggio
2019, n. 3312; ibidem, 22 maggio 2019, n. 3303), concludeva ritenendo
tale richiamo dirimente ai fini del decidere, e conseguentemente  non
manifestatamente   fondata   la    questione    della    legittimita'
costituzionale  sollevata  da  parte  avversa.  E  riteneva  che  sia
individuabile  gia'  nella  legislazione  statale  la  finalita'  «di
garantire, piu' in generale, una piu' stabile occupazione  nel  mondo
del lavoro. Finalita' che la Regione Lazio, nel caso di specie, si e'
poi   premurata   di   garantire   ulteriormente   in   un    settore
(organizzazione sanitaria) anch'esso  riservato,  sempre  in  seconda
battuta, alla sua sfera di competenza costituzionalmente garantita». 
    In questa sede le appellanti hanno proposto un  unico  motivo  di
doglianza, articolato in diversi profili, che di seguito si  riporta:
violazione e falsa  applicazione  degli  articoli  41  e  117  Cost.;
invalidita' derivata; sollevando la  questione  di  costituzionalita'
dell'art. 9, l.r. Lazio n. 13/18 per violazione degli articoli  41  e
117 Cost. e per irragionevolezza e sviamento del potere legislativo. 
    Secondo  la  prospettazione   delle   appellanti,   infatti,   le
disposizioni violerebbero gli articoli 41 e 117, secondo comma  lett.
1), Cost. Le norme statali di cui ai decreto legislativon. 502/1992 e
decreto legislativo n. 81/2015) non legittimerebbero i  provvedimenti
impugnati, ne' la competenza  regionale  sarebbe  riconducibile  alla
tutela della salute (non essendo una tale disciplina  riferibile  ne'
direttamente  ne'  indirettamente  alle  competenze  regionali  sulle
strutture accreditate al SSN/SSR) e nemmeno  essa  costituirebbe  una
mera conseguenza di quanto disposto dall'art. 1  decreto  legislativo
n.  81/2015,  stante  la  espressa   esclusione   delle   professioni
organizzate  in  albi  di  cui  all'art.  2  del   medesimo   decreto
legislativo. 
    Affermano,  peraltro,  che  il   Consiglio   di   Stato   avrebbe
sostanzialmente  gia'  pronunziato  a   riguardo   nella   richiamata
sentenza.  Chiede,  dunque,  che  sia  sollevata  la   questione   di
legittimita'  costituzionale  e  conseguentemente,  a  seguito  della
sentenza  della  Corte  costituzionale,  si  dichiari   l'invalidita'
derivata del  provvedimento  impugnato  in  primo  grado,  in  quanto
divenuto privo di presupposto e copertura legislativa. 
    Le Amministrazioni si sono costituite per resistere. La  Regione,
con memoria, dal suo canto, sottolinea che il Consiglio di  Stato  ha
annullato il precedente d.C.A., tuttavia affermando (cfr.  ex  multis
n. 2374/19): «Gli interessi  sanitari  sono  perseguiti  dalla  legge
attraverso l'imposizione di standard quantitativi e qualitativi,  che
costituiscono   onere   esigibile   e   ragionevole,    concretamente
dimensionatile attraverso l'intervento amministrativo  regionale.  La
tipologia di rapporto di lavoro e' invece prevalentemente  legata  al
diverso  ed  eterogeneo  tema  della  salvaguardia  della  stabilita'
occupazionale nel settore sanitario privato;  interesse  che  pur  in
astratto  meritorio  e  perseguibile,   necessita   di   un'esplicita
previsione normativa primaria, certamente non rinvenibile,  ad  oggi,
nell'art. 8-quater, cit.». Pertanto la questione ora sarebbe  diversa
a seguito dell'emanazione della legge regionale. 
    Afferma l'amministrazione  che,  prive  di  pregio  sarebbero  la
questione relativa alla violazione dell'art. 41 Cost., nella parte in
cui la norma regionale interferirebbe con la  liberta'  ed  autonomia
imprenditoriale, sia quella concernente la violazione  dell'art.  117
Cost. in quanto tale norma travalicherebbe  la  competenza  esclusiva
dello  Stato,  rientrando  la  disciplina  del  lavoro   di   materia
dell'ordinamento civile. In via  del  tutto  preliminare,  ribadisce,
quanto gia' esposto in primo grado, e cioe'  che  la  Presidenza  del
Consiglio dei ministri ha impugnato ex art. 127  Cost.  la  norma  in
argomento solo rispetto al comma 2, e non anche rispetto al comma  1,
che qui rileva, per il quale non sono stati ravvisati i  termini  per
sollevare questione di costituzionalita'. 
    Ne'   potrebbe   considerarsi   meritevole   di    considerazione
l'obiezione avversaria che reputa la nonna regionale in contrasto con
la competenza esclusiva dello Stato di cui all'art. 117, lettera  l),
Cost. per essere in violazione con la norma parametro,  rappresentata
dall'art. 2, comma 2, lettera  b,  decreto  legislativo  n.  81/2015.
Infatti, tale norma esenterebbe  le  sole  professioni  intellettuali
dall'obbligo  dell'assunzione  con  contratto  di  lavoro   a   tempo
indeterminato. 
    Al riguardo si richiama quanto afferma il punto 5 della  sentenza
appellata, nella parte in cui ritiene che, al di la' della  richiesta
all'iscrizione in albi professionali,  non  si  sarebbe  comunque  al
cospetto di «professioni intellettuali» in senso proprio. Richiamando
non solo la pubblicazione ISTAT del 2013  ma  anche  la  Nomenclatura
ISTAT 2019 che prevede nel  settore  sanitario  «la  categoria  delle
«professioni intellettuali» (punto 2.4.), in cui rientrano soltanto i
«Medici»  (2.4.1.),  da  quella  delle  «Professioni  tecniche  nelle
scienze della salute e della vita» (3.2.), in cui rientrerebbero  per
l'appunto  sia  le   «Professioni   sanitarie   infermieristiche   ed
ostetriche» (3.2.1.1) sia le  «Professioni  sanitarie  riabilitative»
(3.2.1.2).» 
    Sarebbe, quindi, da escludersi  la  violazione  delle  competenza
esclusiva  statale  per  non  essere  la  norma  regionale   ne'   in
sovrapposizione ne' in deroga dell'art. 2, comma  2,  lettere  b  del
c.d. Jobs Act, andando a legiferare nel settore delle  attivita'  non
intellettuali;  neppure  risulterebbe  degna   di   nota   l'asserita
violazione  dell'art.117,  III  comma,  Cost.,   sotto   il   profilo
dell'organizzazione sanitaria e della tutela del  lavoro.  Quanto  al
primo profilo, rientrerebbero nel la competenza regionale concorrente
sia la materia della tutela della salute, ivi comprese le  misure  di
carattere organizzativo nel settore della  assistenza  sanitaria,  in
linea con quanto espresso dalla Corte cost., 14 luglio 2017, n.  192,
secondo cui l'organizzazione  sanitaria  e'  componente  fondamentale
della tutela della salute», sia le  misure  di  politica  attiva  del
lavoro, da intendersi come incentivo o comunque sostegno ad una  piu'
stabile occupazione in termini qualitativi e quantitativi.  Pertanto,
la previsione regionale, prima di carattere legislativo  al  fine  di
assicurare copertura  legislativa,  e  poi  di  carattere  attuativo,
devono essere considerate misure incrementali in materia  di  «tutela
del lavoro», finalizzate a dare  maggiore  slancio  e  stabilita'  ai
livelli occupazionali in ambito regionale. 
    Si tratterebbe, quindi, come evidenziato dal  primo  giudice,  di
una norma di completamento del  settore  in  quanto  disposizione  di
dettaglio «del principio fondamentale stabilito dall'art. 1, comma 1,
del decreto legislativo n. 81 del 2015 (cd. Jobs Act),  a  norma  del
quale «il contratto  di  lavoro  subordinato  a  tempo  indeterminato
costituisce la forma comune di rapporto di lavoro». 
    Inoltre, il cd. Jobs Act, quindi, non  si  atteggerebbe  a  norma
statale  finalizzata  a  disciplinare  1«ordinamento   civile»,   non
incidendo sul contratto di  lavoro  subordinato,  ma,  piuttosto,  in
materia tutela del lavoro che rientra  nella  materia  di  competenza
concorrente regionale. 
    L'interpretazione fornita primo giudice troverebbe, peraltro,  la
sua conferma nel richiamo al principio  piu'  volte  affermato  dalla
Corte costituzionale (cfr. sentenza 13 luglio 2007, n. 268)  in  base
al quale le disposizioni dirette a regolare, favorendolo,  l'incontro
tra domanda ed offerta di lavoro attengono appunto  alla  tutela  del
lavoro (ex plurimis, sentenze n. 50, n. 219 e n. 384 del 2005)». 
    Inconferente sarebbe il richiamo alla  sentenza  n.  50/2005,  in
quanto  relativa  alla  materia  della   formazione   ed   istruzione
professionale. 
    Sia la norma regionale sia  la  circolare  applicativa  avrebbero
l'obiettivo di assicurare che i concessionari  di  pubblico  servizio
applichino le stesse condizioni e, quindi, operino in  condizioni  di
parita' all'interno di un sistema di  remunerazione  a  tariffa,  nel
quale l'importo corrisposto non incentivi,  al  ribasso,  economie  a
danno di operatori e utenti. 
    Alla luce di quanto espresso, la questione di incostituzionalita'
sarebbe manifestamente infondata. 
    V - All'udienza con modalita' da remoto del 28  gennaio  2021  la
causa e' stata trattenuta in decisione. 
    VI - Osserva il collegio che questa sezione si e'  gia'  espressa
specificamente  sulla  questione  in  esame  con   riferimento   alla
situazione  di  una  disposizione  che  integri   i   requisiti   per
l'accreditamento oltre quanto stabilito dal decreto legislativo n. 81
del 2015 (c.d. Jobs Act) e n. 502/1992, con la piu' volte  richiamata
sentenza n. 3303/19, avente ad oggetto i decreti commissariali  della
Regione Lazio. 
    Ne discende che l'elemento di novita' su cui si  deve  soffermare
l'attenzione   della   Sezione   e'   costituito,    nella    specie,
dall'emanazione di una norma regionale,  che  secondo  l'impostazione
delle amministrazioni appellate costituirebbe norma primaria in grado
di giustificare e legittimare la successiva circolare  attuativa,  di
contro secondo  gli  appellanti  sarebbe  posta  al  di  fuori  della
competenza regionale, si' da violare la liberta' di  impresa  sancita
dalla Costituzione. 
    VII -  Per  quanto  concerne  la  rilevanza  della  questione  di
legittimita' proposta,  pertanto,  ritiene  il  Collegio  di  potersi
limitare ad osservare  che  la  legittimita'  della  norma  regionale
censurata costituisce il fondamento dell'affermata  legittimita'  dei
conseguenti atti attuativi, oggetto di gravame. 
    VIII - Deve preliminarmente, peraltro, rilevarsi  che  la  natura
attuativa e  di  atto  lesivo  della  circolare  in  questione,  come
ritenuta dal primo giudice, che ha  concluso  per  il  «rigetto»  del
ricorso proposto, senza dubbi sull'inammissibilita', non  costituisce
piu' questione oggetto di censura nel presente grado, in  carenza  di
un appello incidentale  proposto  a  riguardo  dalle  amministrazioni
appellate. 
    XI - Ancora, deve rilevarsi  che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale assume rilevanza nella  specie  con  riferimento  alla
disposizione con carattere «impositivo», laddove la  norma  regionale
prevede,  come  condizione  di   accreditamento   integrativa   delle
disposizioni nazionali,  che  per  gli  enti  privati»  il  personale
sanitario dedicato ai servizi alla  persona»  «dovra'  avere  con  la
struttura un rapporto di lavoro di dipendenza regolato dal  Contratto
collettivo nazionale di lavoro (CCNL) sottoscritto dalle associazioni
maggiormente rappresentative nel settore sanitario». La questione  di
legittimita'  acquisisce  rilevanza,  dunque,  per  l'ampiezza  della
disposizione che non  sembra  ammettere  deroghe  o  possibilita'  di
motivazione di scelte imprenditoriali differenti. 
    L'uso  dell'indicativo  futuro  nella  scelta   del   legislatore
regionale non sembra autorizzare, infatti, questo  giudice,  a  darne
una lettura differente, nel senso  della  possibilita'  di  prevedere
delle deroghe in forza di giustificate esigenze imprenditoriali degli
operatori privati. 
    Costituisce, infatti,  regola  redazionale  dei  testi  normativi
l'opzione del modo verbale indicativo per esprimere un comando.  Tale
forma imperativa ha l'effetto  di  escludere  che  la  norma  tolleri
comportamenti diversi da quello descritto. 
    Peraltro,  va  rilevato  che  siffatta  previsione  individua  la
fattispecie con caratteri  del  tutto  peculiari  rispetto  a  quanto
oggetto di altre pronunzie di questo Consiglio nelle quali ha trovato
esame la ragionevolezza di prescrizioni similari. 
    X - In merito alla non manifesta  infondatezza  valga  quanto  di
seguito esposto. 
    XI - Ritiene il Collegio di dover, in primo luogo,  far  richiamo
dei  principi  espressi  gia'  da  questo  Consiglio   in   occasione
dell'espressione del  parere  sulle  linee  guida  ANAC  in  tema  di
clausole sociali (1747/2018). 
    Infatti, come in quel caso, anche  nella  presente  questione  si
verte in tema di bilanciamento dei principi costituzionali. 
    Nel caso che occupa, come gia'  detto,  la  Regione  sostiene  la
legittimita'  della  prescrizione,  in  quanto  specificazione  della
tutela del lavoro e del diritto alla salute (la tutela  occupazionale
garantirebbe la qualita' del  servizio  reso,  in  estrema  sintesi),
rispetto all quali si esplicherebbe legittimamente ai sensi dell'art.
117, comma 3, Cost. la potesta' legislativa della Regione. 
    Ritiene, invece, parte appellante, la violazione  degli  articoli
41 e 117 Cost. con riguardo alla disciplina dell'ordinamento civile. 
    Effettivamente, deve condividere questo Collegio l'individuazione
dei principi cui appare - anche sulla scorta del dato lettera -  tesa
la  norma  regionale;  tuttavia,  spettando  al  giudice   anche   la
possibilita' di sollevare dubbi di  costituzionalita'  d'ufficio,  si
rappresenta che la disposizione nel suo raffronto con le disposizioni
nazionali  e  sovrannazionali,  in  relazione  al  bilanciamento  dei
diritti garantiti dalla Costituzione,  appare  generare  perplessita'
anche con riferimento a profili ulteriori rispetto a quelli  indicati
dagli appellanti. 
    XII - Ancor prima del parere  della  Commissione  speciale  sopra
menzionato, la giurisprudenza amministrativa nell'affrontare il  tema
del  bilanciamento  tra  la   tutela   del   lavoro   e   la   tutela
dell'iniziativa privata si era espressa  nei  seguenti  termini,  con
riferimento all'obbligo di  riassorbimento  dei  lavoratori  d  parte
dell'impresa aggiudicataria subentrante: »La  c.d.  clausola  sociale
deve  essere  interpretata  conformemente  ai  principi  nazionali  e
comunitari in materia di liberta' di iniziativa imprenditoriale e  di
concorrenza, risultando altrimenti  essa  lesiva  della  concorrenza,
scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la
platea dei partecipanti, nonche' atta a ledere la liberta' d'impresa,
riconosciuta e garantita dall'art. 41 Cost.,  che  sta  a  fondamento
dell'autogoverno  dei  fattori  di  produzione  e  dell'autonomia  di
gestione propria dell'archetipo del  contratto  di  appalto,  sicche'
tale clausola deve essere interpretata in modo  da  non  limitare  la
liberta' di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle
un effetto automaticamente e rigidamente escludente; conseguentemente
l'obbligo  di   riassorbimento   dei   lavoratori   alle   dipendenze
dell'appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto
dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile  con
l'organizzazione di impresa prescelta dall'imprenditore  subentrante;
i   lavoratori,   che   non    trovano    spazio    nell'organigramma
dell'appaltatore  subentrante  e  che   non   vengano   ulteriormente
impiegati dall'appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari
delle misure legislative in materia  di  ammortizzatori  sociali;  la
clausola  non   comporta   invece   alcun   obbligo   per   l'impresa
aggiudicataria  di  un  appalto  pubblico   di   assumere   a   tempo
indeterminato ed in forma automatica  e  generalizzata  il  personale
gia' utilizzato dalla  precedente  impresa  o  societa'  affiaataria.
L'obbligo di riassorbimento del personale  impiegato  dal  precedente
appaltatore va comunque armonizzato  con  l'organizzazione  d'impresa
prescelta dall'imprenditore subentrante, e cio'  anche  laddove  tale
obbligo sia previsto dalla  contrattazione  collettiva»  (Cfr.  Cons.
Stato, 
    Sez. IV n. 2433/2016; interminis, Sez. III, n. 2078/2017; Sez.  V
n. 272/2018). 
    Il Consiglio di Stato ha ribadito  tale  orientamento  anche  nel
parere n. 2703/2018, a mente  del  quale:  «la  clausola  sociale  e'
legittima nella misura  in  cui  non  implichi  un  indiscriminato  e
generalizzato dovere di  assumere  tutto  il  personale  dell'impresa
uscente ma permetta invece una  ponderazione  tra  la  necessita'  di
personale per l'esecuzione del  nuovo  contratto  e  la  liberta'  di
scelta organizzativa e imprenditoriale del nuovo appaltatore; rientra
nelle  prerogative  dell'imprenditore   la   scelta   del   contratto
collettivo da applicare, fatta in ogni caso  salva  la  coerenza  con
l'oggetto dell'attivita' affidata dalla stazione appaltante». 
    Tali conclusioni appaiono significative, nel caso che occupa, per
verificare gli spazi di intervento del legislatore  in  generale  con
riferimento alla  "compressione"  dell'iniziativa  privata  a  favore
dell'utilita' sociale  (rappresentata  in  generale  nei  profili  di
tutela occupazionale e, per il caso specifica, nei risvolti di tutela
degli  assistiti),  ma  anche  ad  introdurre  ulteriormente  profilo
attinente al dubbio  di  compressione  che  la  portata  della  norma
potrebbe avere in termini di  concorrenza  tra  operatori  privati  e
pubblici in ambito sanitario, poiche'  siffatta  prescrizione  appare
indirizzata   unicamente   agli    operatori    privati    ai    fini
dell'accreditamento e del convenzionamento con il SSR. 
    Sin d'ora non puo' che sottolinearsi che rileva - ai  fini  della
non  manifesta   infondatezza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale - la certezza che la competenza legislativa in materia
di concorrenza appartenga allo Stato. 
    XIII - Da quanto  esposto,  si  comprende  come  la  tematica  in
argomento  porti  con  se'  non  poche  problematiche   relative   al
bilanciamento di contrapposti interessi di rilievo costituzionale: la
tutela del lavoro da un  lato,  la  liberta'  d'iniziativa  economica
dall'altro, intrecciandosi inevitabilmente anche con la tutela  della
parita' tra gli operatori sanitari. 
    In tale contesto, e' necessario partire col ricordare che  l'art.
1 della Costituzione italiana esordisce con l'affermazione: «L'Italia
e' una repubblica democratica fondata sul lavoro», che non  puo'  che
significare non solo che il lavoro determina  la  prosperita'  ed  il
benessere della vita, ma anche che da tale  dichiarazione  discendono
vari   diritti   che   numerosi   articoli   della   medesima   Carta
costituzionale espongono. 
    L'art. 41, di seguito,  stabilisce  la  liberta'  dell'iniziativa
economica privata sia pur condizionandola a che essa non si svolga in
contrasto con l'utilita' sociale o a  danno  della  sicurezza,  della
liberta'  o  della  dignita'  umana.  Esso  aggiunge  che  «la  legge
determina i programmi e i  controlli  opportuni  perche'  l'attivita'
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata  a
fini sociali». 
    Deve ricordarsi ancora che  la  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea (c.d.  Carta  di  Nizza),  differentemente  dalla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo  (di  seguito:  Convenzione
EDU), contempla quali principi fondamentali la liberta'  d'impresa  e
la tutela dei consumatori. 
    A seguito dell'approvazione del trattato di Lisbona, avvenuta  il
1° dicembre 2009, l'art. 6 del trattato sull'Unione  europea  afferma
che «L'Unione riconosce i diritti, le liberta' e i  principi  sanciti
nella carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ...  che  ha
lo stesso valore giuridico dei trattati». 
    Ritiene il Collegio che - nella questione oggetto di esame -  non
si ponga un problema di concorrenza tra operatori, stante  la  natura
di mercato «regolato» in cui `attivita' del  privato  e'  conseguenza
della     pianificazione     pubblica      e      della      sequenza
autorizzazione-accreditamento-convenzione determinata dalle  esigenze
della distribuzione del servizio sanitario sul territorio nazionale e
regionale; piuttosto, i principi gia' sopra evidenziati devono essere
bilanciati alla luce del generale precetto  dell'eguaglianza  di  cui
all'art. 3 della Carta costituzionale e dei criteri  dell'adeguatezza
e della proporzionalita' di  derivazione  comunitaria,  quali  regole
generali valide anche per il legislatore (cf. C. giust., 17  dicembre
1970, in G11/70, Internationale Handelsgesellschaft, in Racc.,  1970,
1125   ss.;   C.   giust.,    24    ottobre    1973,    in    C-5/73,
Balkan-Import-Export, in Racc.,  1973,  1091  ss.;  anche,  Cons.  di
Stato, IV Sezione, 26 febbraio 2015, n. 964). 
    Valga ricordare come con il trattato di Maastricht  del  1992  il
principio  di   proporzionalita'   e'   stato,   peraltro,   inserito
direttamente all'interno del trattato, all'art.  3  B  (divenuto  poi
l'art. 5 TCE), che si riferiva, tuttavia, alla sola  attivita'  delle
istituzioni comunitarie. In seguito„ con il trattato di Amsterdam del
1997, al principio di proporzionalita' e' stato dedicato un  apposito
protocollo (ora Protocollo n. 2) -  ripreso,  con  alcune  modifiche,
anche dal trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre  2009
- la cui prima disposizione ricalca, sostanzialmente, quella  di  cui
all'art. 3 B, con l'aggiunta, pero', della precisazione espressa  che
l'obbligo di rispetto del principio incombe a ciascuna istituzione». 
    La tematica del rapporto di valore tra  diritti  fondamentali  ed
altre liberta' ha subito anch'esso un'evoluzione significativa se  si
pensa che nei trattati dell'Unione europea  i  principi  del  diritto
comunitario sono in sostanza sullo  stesso  piano,  determinando  una
necessaria impostazione di bilanciamento tra le varie liberta'  ed  i
diritti e, anzi la parola  fondamentali  e'  associata  primariamente
alle liberta' in una diversa ottica, in cui si ritiene  che  funzione
essenziale del mercato (e della liberta' di impresa) sia la  crescita
della ricchezza ma anche  la  realizzazione  e  il  conseguimento  di
diritti fondamentali. 
    Vale ancora evidenziare che,  nell'operazione  di  bilanciamento,
l'orientamento della giurisprudenza costituzionale - nn.  348  e  349
del 2007 - subordina la validita' delle  norme  interne  al  rispetto
della  Convenzione  europea   dei   diritti   dell'uomo,   ed   anche
l'interpretazione  di  questa  agli  orientamenti  della   Corte   di
Strasburgo, ma nel senso di affermare un «ragionevole e proporzionato
bilanciamento tra  i  diversi  interessi,  di  rango  costituzionale,
implicati dalle scelte legislative, specialmente  quando  esse  siano
suscettibili di incidere sul godimento di diritti fondamentali». 
    Di contro, la Corte costituzionale ha anche affermato che  in  un
sistema  informato  al  principio  della   liberta'   dell'iniziativa
economica, i limiti  consentiti  dovrebbero  essere  funzionali  alla
tutela dell'utilita' sociale e della liberta', sicurezza  e  dignita'
umana (sentenza n. 267 del 2016). 
    In tale contesto, dunque, si  palesa  la  scelta  ermeneutica  di
effettivo bilanciamento e di coerenza del sistema nella via  indicata
dallo stesso legislatore costituente, laddove indica il  concetto  di
utilita' sociale, intesa non solo quale insieme di «diritti sociali»,
ma quale un novero di interessi della collettivita'  considerata  nel
suo insieme. 
    In  questo  insieme,  dunque,  si  confrontano  la   tutela   dei
lavoratori e la tutela dell'iniziativa  economica,  la  tutela  della
salute in termini di qualita' della prestazione e anche in termini di
maggiore diffusione delle strutture, investimento  in  macchinari  ed
attrezzature, confronto competitivo tra operatori pubblici e privati,
che concorrono alla luce  della  disciplina  statale  a  comporre  il
complesso sistema nazionale sanitario. 
    Orbene, vale osservare che alla luce di quanto gia'  rilevato  da
questa Sezione, con la misura prescelta dal legislatore regionale  si
espone a molteplici  dubbi  in  ordine  all'adeguatezza  della  stesa
rispetto allo scopo  dichiarato  di  tutela  della  salute,  operando
piuttosto - ad un'immediata  lettura  -  un'inversione  logica  nella
valutazione del mezzo rispetto al fine. 
    Per un verso, infatti, la natura dei contratti stipulati  con  il
personale delle strutture sanitarie  non  appare  essere  in  stretta
connessione con la finalita' di garanzia della qualita' del servizio.
Tale  fine  sembra  piuttosto  doversi  connettere   ad   un'adeguata
regolazione delle modalita' del servizio  quanto,  ad  esempio,  alla
continuita'  dello  svolgimento  del   servizio   medesimo   o   alla
professionalita' degli operatori. 
    Ne discende che necessariamente le norme indirizzate alla  tutela
della salute  non  possono  che  avere  come  diretti  destinatari  i
beneficiari del servizio sanitario. 
    A riguardo, deve ricordarsi che da ultimo,  la  Sezione,  seppure
con riferimento ad altro ambito, quale quello delle gare pubbliche  e
della  clausole  sociali,  ha  avuto  modo  di  evidenziare  che  «la
correlazione tra rapporto subordinato (che, peraltro, potrebbe essere
anche   a   tempo   determinato)   e   qualita'   della   prestazione
sociosanitaria e' un dato non dimostrato e certamente opinabile»  (n.
5049/2020). 
    Per altro verso, ritenere la competenza legislativa regionale  in
materia  come  "allargata"   anche   alla   disciplina   dell'assetto
contrattuale, potrebbe costituire precedente di una  differenziazione
della disciplina tra i vari sistemi sanitari regionali, non solo  nel
senso di maggior favore sia - per ipotesi - in senso contrario. 
    Per  quanto  evidenziato,  si   appalesano   non   manifestamente
infondati i dubbi di  legittimita'  costituzionale  della  disciplina
regionale di cui all'art. 9 della legge regionale Lazio  28  dicembre
2018, n. 13, per i seguenti profili: 
      quanto al contrasto con gli articoli 3 e 41 Cost. in  relazione
alla prospettata compressione dell'autonomia privata  in  termini  di
organizzazione  dell'impresa  anche  in  relazione  alla  parita'  di
trattamento rispetto agli operatori pubblici; 
      con riferimento all'art. 117 comma 1,  Cost.  in  relazione  al
rispetto delle norme comunitarie, in relazione al generale  principio
di ragionevolezza e proporzionalita' della disposizione in  relazione
alla finalita' di maggior efficienza della prestazione sanitaria. 
    XIV - Ed ancora, per quanto sin esposto,  l'imposizione  ai  fini
dell'accreditamento    dell'ulteriore    condizione    come     sopra
rappresentata  manifesta  dubbi  di  legittimita'  con  riguardo   al
rispetto del perimetro della competenza esclusiva dello Stato di  cui
all'art.  117  comma  2  Cost.,  laddove  impone  il  recepimento  di
determinati accordi sindacali al di sopra delle soglie  previste  dal
legislatore nazionale, sotto il profilo della competenza  in  materia
di ordinamento civile, ai sensi dell'art. 117 comma  1,  lettera  l),
Cost. 
    XV - Vale precisare a riguardo che il limite inserito nella norma
regionale non trova corrispondenza ne' l'art. 8-sexies,  del  decreto
legislativo 502/1992 ne'  nel  decreto  legislativo  n.  81/2015,  in
disparte  da  ogni  valutazione   sulla   sua   applicabilita'   alle
professioni di  settore,  essendo  li  previsto  il  limite  del  20%
relativo alle assunzioni a tempo determinato. 
      Ne deriva che risultano non manifestamente infondati i dubbi di
legittimita' costituzionale anche con riferimento alla  delimitazione
della competenza legislativa concorrente regionale per come  prevista
dall'art. 117, comma 3, Cost. 
    XVI -  Concludendo,  ritenendo  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale  dedotta  dagli
appellanti, questo Consiglio di Stato solleva - con riferimento  agli
articoli degli articoli 3, 41 e 117, commi 1, 2, 3 della Cost.  -  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  9  della   1.
regionale Lazio 28 dicembre 2018, n. 13 nella parte  in  cui  prevede
che A tutela della qualita' delle prestazioni erogate e del  corretto
rapporto tra costo del lavoro e  quantificazione  delle  tariffe,  il
personale sanitario dedicato ai servizi alla  persona,  necessario  a
soddisfare gli standard organizzativi, dovra' avere con la  struttura
un rapporto di lavoro di dipendenza regolato dal Contratto collettivo
nazionale  di   lavoro   (CCNL)   sottoscritto   dalle   associazioni
maggiormente  rappresentative  nel  settore  sanitario»,   per   come
precisato in motivazione. 
    Il processo deve,  pertanto,  essere  sospeso,  con  trasmissione
degli  atti  alla  Corte   costituzionale,   per   ogni   conseguente
statuizione.